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L’allestimento della Teatro Sud con la regia di Antonio Ferrante scorre via con ritmo arioso. Ben affiatati gli autori, tra i quali spicca il protagonista Tommaso Bianco
La Gazzetta Del Mezzogiorno - Pasquale Bellini - 11/09/1988
BENEVENTO - "Nniccu Furcedda", la farsa pastorale composta da un medico-poeta per rallegrare gli ozi settecenteschi alla piccola corte dei principi Imperiali in Francavilla, da "scherzo di palazzo" a spese dei villani e delle loro "ridicuIose" goffagini (materia anzi di colte contaminazioni per il letterato Girolamo Bax), diventa per la forza del linguaggio, per La capacità pressochè fatale che ha la parola di "inverare" sentimenti, psicologie, valori collettivi, quasi un incosapevole spaccato di antropologia contadina e pugliese, uno specchio in cui riconoscere con commossa lontananza modi, gesti, suoni, caratteri, colori. Vi si uò cogliere, dietro il manierismo della commedia, I’ amaro della storia.
Lo spettacolo della Teatro Sud andato in scena al Comunale, ha il merito,al di là del recupero di un "classico" pugliese in veste di netta professionalità di averci restituito una lingua (ah, questo splendido pugliese-salentino, come picchia e suona duro, a distanza dl 250 anni!) e insieme un perfettamente godiblle meccanismo teatrale: lo scavo filologico insomma non è andato a discapito di ciò che comunemente si intende per teatralità, dai ritmi alle carattertzzazioni, agli effetti comici, ecc.
Merito soprattuto degli adattatori del difficile testo. Egidio Pani e Michele Serio, oltre che del regista Antonio Ferrante e degli attori, Tommaso Bianco In testa. "Nniccu Furcedda" è pertanto sì l'avaro dl tanta convenzione comica (da Plauto al '500 alle prime "opere buffe" napoletane, ben note al Bax), ma è poi soltanto la lingua che usa (anzi che lo usa!) a fare di lui un "carattere" astratto, ma un duro e vero carattere contadino e pugliese: la fame millenaria e mai spenta, la fatica sovrumana sotto l'arsura di un sole immobile da parte di un "popolo di formiche", stanno dietro la sua inumana feroce difesa della "roba", del grano, dei "tornesi" accumulati pezzo su pezzo, come pietra dopo pietra ha strappato la terra alla Murgia.

Attorno a Furcedda può così anche Intrecciarsi la ridda comica della farsa, con la figlia Nina promessa al "dottorino" Roccu e contesa dall’irruento Paulu, con la moglie Perna ostinata paraninfa e dura "massara", con i lazzi ruspanti dei caprai Tonnu e Rienzu, con i "travestimenti d’amore" di Tittu e Necca, le beffe, gli equivoci madornali, i canti sull’aia. Tutto al tiene grazie al ritmo veloce impresso all’azione, grazie alla musica pietrosa della lingua-suono che impedisce troppi abbandoni alla piacevolezza studiata di un intrigo risaputo, che scolpisce psicologie verosimili addosso alle esili figurine della vicenda.
Bella la scena dl Bruno Garofalo: dalla terra rossa e polverosa emergono sbiancati, consumati muri: un architrave ha la vetusta classicità di un monumento, tra un albero contorto di stecchi e un profilo dl trulli. Ma la "veduta con rovine" arde sotto Il sole (anzi avrernmo voluto vederla più netta, se non livida, questa luce di Puglia!) e sotto l'aia, nei granai, si ammucchiano e maturano nei sacchi le farine sudate. Pulsa col sangue la vita, e l’azione della commedia, anche sotto e sopra le botole da cui passano i peronaggi in un andirivieni che man mano si fa frenetico, in vista dell' inevitabile "felice finale". E gli amori sono fatti di abbracci accaldati (altro che Arcadia!), di un cercarsi "le carni" sotto gli abiti e i sentimentalismi del 700!
Evitato, ma non del tutto (specie nella seconda parte, trappola inevitablie) il rischio oleografico e gratificante della "cartolina", questo "Nniccu Furcedda" di Teatro Sud scorre via con ariosi ritmi di vento e di sole, grazie anche alle musiche e canzoni (di Michele Serio) che ammorbidiscono a tratti l'aspro suono della lingua.
Compagine affiatata, gli attori hanno assecondato il senso dell'operazione, abbandonandosi anch’essi al ritmo musicale del pugliese-salentino "d'epoca", ma nello stesso tempo "recitando" i pcrsonaggi con gusto di caratterizzazione e coloriture psicologiche accennate ma non superficiali. Spicca il Nniccu di Tommaso Bianco: più che un carattere di avaro, una vera adesione col corpo e col cuore al personaggio pugliese e alle sue sfaccettature. Cupa avidità, sordida spilorceria, svenevolezza di comico amante e tirannia di padrone sono state rese da Bianco con mossa partecipazione, non solo professionale. Forte e corposa, tra aridità e rimpianti di una condizione femminile e contadina, la Perna di Maria Capotorto, che si affianca al saporoso ruzzare comico (tra canto, gioco e vino) di Nino Acquaviva, affiancato in rustica e vivida presenza scenica da Carlo Camassa, secondo "villano". Ottimamente rilevato un filiforme e gustoso "dottorino" di Lucio D'Abbicco, mentre le coppie degli "innarnorati" erano rese con fresca adesione dalle fiorenti e spigliate Liliana Randi e Alessandra Mandese, dai vigorosi Marcello Rubino e Rosato Lombardi (questo anche nel comico "travestì").
Esauriti i meritati aggettivi per gli attori, resta la soddisfazione (testimoniata da applausi e consensi del pubblico al Comunale) per un’impresa erudita ma teatrale, d’impegno culturale e spettacolare ma anche umano. Che l’auspicabile succeso di "Nniccu Furcedda" (al dl là del sentimentalismo di una bella canzone finale) è stato costruito "petra su petra", come tutta la cultura di tutti i Furcedda, sotto il solo di Puglia