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La commedia resta un capolavoro di semplidtà classica
Regia di Antonio Ferrante. Gigi Reder nei panni di Don Pasquale, affiancato da Wanda Pirol nel ruolo che fu di Titina
La storia di Sesella, signorina quarantenne in cerca di marito, non ha perso la sua efficacia malgrado risalga al 1933
Il Messaggero - Rita Sala - 18/02/1990
Una ciambella fatta in casa: pastosità, fragranza e profumo di forno laborioso. 40, ma non dimostra, commedia di Peppino e Titina De Filippo, vista l’altra sera al Delle Muse nella messinscena di Antonio Ferrante, proprio un dolciotto casalingo ben riuscito, rustico, sano, che fa valere le sue prerogative soprattutto se confrontato con le artefazioni di certo teatro coatto, oggi dilagante. La piece, che i tre fratelli De Filippo, ancora uniti negli intenti e sulla scena, presentarono per la prima volta al "Sannazzaro" di Napoli nel 1933, è un capolavoro di semplicità teatrale, la cui efficacia principale risiede nell’assoluta naturalezza della drammaturgia, fatta soprattutto di personaggi. Naturalmente di statura classica. Tant'è che, mutati i tempi (e forse anche i luoghi), la vicenda di Sesella, signorina quarantenne in attesa di sistemazione, non perde vigore, ne gli accenti comico-patetici sui quali poggia la sua credibilità.
Antonio Ferrante, per l’allestimento alle Muse, s'è limitato a spostare i fatti una ventina d’anni avanti, alla metà dei Cinquanta, accentando con i pantaloncini fantasia, le "ballerine" senza tacco, gli abiti da sera tutti voile e gonne spampanate, le quattro giovani figlie di don Pasquale, napoletano, vedovo e benestante. Quattro "scatenate", la cui vita di divertimenti innocenti, di tintarella e fidanzati, procede spedita sotto l’ala protettiva di Sesella, la maggiore, suorina laica rassegnata allo zitellaggio che dà ragione alla propria esistenza solo servendo in silenzio, contenta, il padre e le sorelle.
Il "caso" si crea quando un amico di famiglia, giornalista squattrinato di cui Sesella si e infantilmente invaghita, confessa a don Pasquale il proprio amore per la figlia. Ma la ragazza di cui parla il povero Luciano, non è Sesella, bensì Carmela, in procinto di sposare Alberto e lontanissima - nella sua avvenente ocaggine - dall’aver compreso le assiduità del giornalista. Don Pasquale cade in equivoco, e Luciano pure: detto e fatto, il malcapitato pretendente si ritrova fidanzato con Sesella, senza raccogliere il coraggio per svelare l’inghippo al genitore speranzoso. Il resto è teatro. Luciano fugge per guadagnare tempo e Sesella, credendosi fidanzata, inalbera in quattro e quattr’otto nuovi modi di vivere, s’acconcia e pensa come le giovani sorelle, da quieta pecorella si muta in leonessa smaniosa. Fino al magistrale epilogo. Scopeno l’inganno, per buona pace di tutti, la zitella rientra in se stessa, riveste i panni claustrali, e agguantata la zuppiera della minestra, serve la famiglia riunita a tavola, rfiutando l’aiuto di papà: "Lascia, papà, faccio io. Ho sempre fatto io".
Testo di personaggi, si diceva, ma anche di umorismo che nasconde contenuti di grande pathos. Titina e Peppino lo scrissero, evidentemente, addosso ai De Filippo, ma ogni attore di buona schiatta può interpretarlo con risultati egregi. Cosi, regolati dalla regia narrativa, tranquilla, opportunamente divulgativa di Ferrante, anche gli attori di scena alle Muse trovano buon esito. Innanzitutto Gigi Reder, in questa occasione dedito a un’encomiabile sobrietà nei panni di don Pasquale, preoccupato di "piazzare" la figlia maggiore e afflitto dall’impossibilità di modificarne il destino. L’attore, più affida gli effetti comici a un’azione sommessa, morbida, rilassata, più ottiene il riscontro divertito del pubblico. Wanda Pirol è Sesella, la protagonista. Lavora onestamente, senza lasciarsi intimidire dal ruolo che fu di Titina, ma anche senza strafare. Il gruppo delle ragazze, allegro, agitato da vitalità inarrestabile per contrastare con le quiete follie patetiche della zitella, è invece formata da Alessandra Borgia, Claudia Vegliante, Valeria Cecilia, Maria Silvia Barbetti. Rino Santoro interpreta gradevolmente alla Sciosciammocca, il personaggio di Bebè, fidanzato di Giulia. E poi Claudio Veneziano (Luciano); Pompeo Cellucci (Alberto); Enzo Garinei (il compare Matteo); Sofia Amendolea (Donna Giacinta); Alessandra Jandolo (Donna Amelia). Scene, assai piacevoli e accurate, di Renato Lori, che dipingono una Napoli del primo dopoguerra animata da fermenti diversi. Costumi, ben scelti, di Giada Calabria.