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Il Giornale Di Napoli - 11/05/1989 - Giulio Baffi
E’ di moda il "remake", ed ecco che, a conclusione di una stagione discontinua ma che non ha mancato di offrirci aluni felici appuntamenti, Tato Russo presenta nel suo Bellini il secondo momento di un "Progetto Plauto" che per quest’ anno vede I’ allestimento di due spettacoli già messi in scena qualche anno fa. Il primo è stato I’ Anfitrione firmato da Antonio Casagrande, il secondo è questo Due Gemelli Napoletani liberamente elaborao da Tato Russo sulla traccia della scrittura plautina.
Da sempre il "doppio" è elemento di grande fascino, che si presta facilmente al gioco teatrale, Plauto, duemila anni fa giocò, scrivendo i "Menecmi", con le mille possibilità che la storia di due gemelli, identici, come gocce d’ acqua, sconosciuti 1’ uno dall’ altro ma ritrovatisi per caso nella medesima città, possono offrire alla fantasia di un autore e alle capacità di un manipolo di attori. Allora la commedia plautina fu un successo, dopo di lui in molti continuarono a rappresentare gli equivoci suggeriti dal possibile incontro dei gemelli; non minore successo hanno avuto, tanto per citare le tappe principali della presenza dei gemelli nel teatro del mondo, Shakespeare o Goldoni, che portarono i loro ignari fratelli in giro per il mondo.
Oggi i gemelli, entrambi di nome Menecmo, come ci spiega una sbarazzina fanciulla in funzione di prologo, vivono uno a Capua e uno a Napoli. Logicamente uno è un rude campagnolo, un buzzurrone un po’ tonto che con il suo schiavo si avventura per le strade di Napoli, I’ altro è un signore che parla bene, ha una bella moglie, un padre ricco e una amante procace e compiacente, oltre a un servo, com’ è indispensabile per dar sale alla vicenda, linguacciuto e invadente.
I due gemelli sono napoletai e, nelle intenzioni di Tato Russo e di Antonio Ferrante che firma la regia, si dovrebbe forse intravedere un qualche spaccato, antico o moderno, di questa città, esempio di contraddizioni e di imbrogli, di frodi e di passioni, da sempre adoperata come magico contenitore di umori, di ironie, di comicità aggressiva, di gagliofferia generosa.
Ma in verità I’ azione potrebbe, così come è costruita, svolgersi in qualsiasi luogo del mondo. Forse sono davvero universali e ormai codificati i temi plautini, forse è troppo poco far parlare un paio di personaggi in un napoletano un po’ antico e un po’ moderno per connotare tutta una situazione. E pure il mondo di Plauto è lontano, evocato da qualche improbabile "tesauro" o simili latinerie non trova riscontro nei ritmi e nella riscrittura propostaci.
Ma così è stato da tempo, Plauto è un pretesto per costruire un teatro che ha la liceità di essergli irriverente, ed è inutile scandalizzarsi. Cosa rimane? Rimane il gioco, qualche volta licenzioso, qualche volta scontato, che fa divertire il pubblico disposto a cogliere le occasioni offette da un gruppo di attori generosamente impegnato, a cominciare da Tato Russo, cui sfuggono le possibili sfumature psicologiche che dovrebbero fare differentissimi i due gemelli ma che sa giocare i suoi due ruoli con felici costruzioni di "citazioni" dal grande teatro napoletano, a Iucio Allocca, che è Messensione, il servo del Menecmo contadino, e offre di più di uno spunto di grande comicità nel suo disorientamento con un padrone che cambia atteggiamento e idee ad ogni incontro, a Mario Porfito, Patrizia Spinosi, Tino Cervi, Gabriella Di Luzio e Alessandra Borgia.